Un altro detenuto morto, dov’è la sicurezza?
Supportare le persone nei loro percorsi detentivi richiede che tutti si assumano le responsabilità.
Lunedì (27 marzo) la notizia di una persona detenuta deceduta domenica all’interno della Casa Circondariale di Viterbo, ancora una volta giovane, ancora una volta di cittadinanza straniera.
Le forze politiche di maggioranza si affannano a rincorrere un’idea di sicurezza e legalità che passa attraverso la sanzione per chi partecipa ai rave, la detenzione di 24 bambini insieme alle loro mamme, la difesa del 41-bis, l’abolizione del reato di tortura per tutelare le forze di polizia, la criminalizzazione delle ONG che salvano i naufraghi in mare.
Nei nostri istituti penitenziari sono detenute 56.319 persone e da inizio anno già 31 hanno perso la vita. Allora dove è la sicurezza in questo caso?
Gli istituti penitenziari adempiono al loro mandato attraverso tante forze che non sono, solo, quelle della sicurezza. I percorsi educativi, le attività trattamentali, il supporto psicologico, l’attenzione alla salute, la mediazione linguistica sono il vero strumento per raggiungere le persone, supportarle e sostenerle nei loro percorsi detentivi e per prevenire le tragedie.
Per fare questo bisogna che ciascuno si riprenda le sue responsabilità, non solo il Ministero della Giustizia e i suoi operatori, anche quello della Salute, dell’Istruzione, gli enti locali e la società civile tutta per evitare che questa responsabilità venga delegata ai soli operatori penitenziari.
Sarebbe opportuno che i politici visitino gli istituti penitenziari, non per comunicare vicinanze o simpatie ma perché è un dovere del loro mandato istituzionale.