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Il paesaggio oltre il muro

Un’intervista a Resli Tale sul murales realizzato con Arci Solidarietà Viterbo Onlus alla Casa Circondariale di Viterbo.

A gennaio Arci Solidarietà Viterbo Onlus ha realizzato un murales nell’ambito del progetto Anche il muro è un paesaggio, fatto con il sostegnodel Garante delle persone private della libertà della Regione Lazio; a guidare un gruppo di persone detenute nel disegno e nella pittura di questo muro illustrato– usando la sua definizione – è stata l’illustratrice Resli Tale che aveva già condotto un’esperienza simile, sempre alla Casa Circondariale di Viterbo, nel 2017 all’interno delle attività di Librimmaginari, il festival del disegno e dell’illustrazione di Arci Viterbo curato da Marco Trulli e Marcella Brancaforte: abbiamo fatto a Resli qualche domanda su questa esperienza.

Ci racconti come è stato lavorare nel contesto di un luogo di detenzione?

Come passare alla dogana: “chi siete? cosa portate?” 
Poi i sorrisi e gli sguardi con i ragazzi trasformano i corridoi in strade di periferia,in un mercoledì anonimo, dove un gruppo di nuovi amici ci si ritrova per illustrare un muro.

Tu avevi già lavorato a un murales, sempre a nella Casa Circordariale di Viterbo; hai trovato differenze? le persone che hanno partecipato al primo hanno partecipato anche al secondo?

Alcuna differenza, lo spirito e gli sguardi dei partecipanti sono unici, certo, ma accomunati dalla voglia di mettersi in gioco, dall’entusiasmo di nuove “responsabilità” e dalla voglia di riscatto.

Qualche ragazzo del gruppo precedente ha fatto capolino tra i corridoi e qualche altro ha partecipato nuovamente, confidandomi di essere stato promotore tra i compagni per il secondo muro illustrato.

Parliamo del murales, eri arrivata già con qualche idea? Si è modificata durante la realizzazione?

L’idea approvata e scelta si agganciava al progetto di Librimmaginari, il cui tema era “Simulacra – Bestiario”. Perché no? Creare un’estensione che partisse dal cuore viterbese fin dentro le mura di Mammagialla, una tematica da affrontare con la voglia di tirar fuori le emozioni, per esorcizzare quelle negative da riprodurre con immagini antropomorfe sulle mura.

Ma nella valigia era già pronta una nuova, possibile ricerca: al bestiario i partecipanti associavano la prigionia, quindi abbiamo scelto, con le operatrici – Laura e Sara – di lavorare leggendo, analizzando e osservando un “Libro illeggibile” di Munari.

Che tipo di reazione c’è stata rispetto a Munari? Il suo lavoro è molto particolare.

«È un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva. Fu così che nacquero i “libri illeggibili”,così chiamati perchè non c’è niente da leggere ma molto da conoscere attraverso i sensi».

È con questo spirito che abbiamo lavorato, generando inizialmente racconti personali e coniugando le esperienze reali, fantasticate in un’immagine completamente nuova.

Alla fine del lavoro avete commentato l’esperienza? Le persone che hanno partecipato insieme a te hanno fatto un bilancio, delle considerazioni finali, hanno espresso dei pensieri su quello che era stato fatto?

Certo, impossibile non parlarne; anche da soli, i partecipanti, che “sbirciavo” tra un controllo colore e l’altro, ne parlavano, ne discutevano.

In questi confronti riaffioravano reminiscenze della storia dell’arte e quasi ci si dimenticava del contesto: il muro diventava una finestra e noi tutti eravamo proiettati oltre quella.

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